Superbonus 110% per i lavori trainati in condominio

Con risposta n. 595 del 16 dicembre 2020, l’Agenzia delle Entrate fa rientrare nella detrazione del 110% gl...
La Corte di Cassazione con la pronuncia n. 8966 del 2020, stabiliva che non era fondata la versione dei fatti esposta dall’imputato, secondo il quale la “vittima” per problemi d’insonnia e di insofferenza ai rumori, non sopportava il volume della radio.
Venne confermata infatti la tesi del Tribunale, il quale sosteneva che lo stereo veniva acceso ad alto volume in continuazione, proprio allo scopo di disturbare un numero indefinito di persone.
L’imputato venne dunque accusato di aver disturbato le occupazioni e il riposo dei vicini, ascoltando la radio ad alto volume.
L’imputato ricorre in Cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza, sostenendo che la responsabilità penale si fondava solo sulle dichiarazioni della persona offesa, soggetto non attendibile a causa del cattivo rapporto l’imputato.
Non vi erano neppure dati per stabilire se i rumori prodotti superassero effettivamente la normale tollerabilità, visto che molti dei vicini dell’imputato non si sono mai lamentati di nulla.
L’imputato sosteneva inoltre la mancata esplicitazione dei criteri equitativi che hanno condotto il giudice a determinare il risarcimento.
La Cassazione con detta sentenza, rigettava il ricorso considerato infondato, in quanto il primo motivo risultava essere inammissibile perché non specifico e finalizzato a ottenere una nuova valutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità.
In primo grado venne rilevato che l’imputato teneva alto il volume della radio, per molestare i vicini, come confermato dalla parte civile, dalla sorella, dal padre e come accertato dal sovraintendente intervenuto sul posto.
Inoltre, dalla ricostruzione dei fatti emerse una pluralità indefinita di soggetti danneggiati, perché il danno prodotto ai danni della parte civile va ben oltre l’intenzione dell’imputato. L’attendibilità della ricostruzione, la rumorosità conclamata dello stereo e la dolosità della condotta quindi rendono superflua qualsiasi misurazione.
Per quanto riguarda infine per la quantificazione del danno, il Tribunale infatti nel determinare la somma ha tenuto conto della non scarsa offensività del reato, stante le condotte dolose e reiterate.
La Cassazione conferma la condanna al pagamento delle spese processuali e in accoglimento di quanto evidenziato dall’imputato converte la multa nell’ammenda di 200 euro.
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